Con un Inauguration Day accompagnato – come ampiamente previsto – da polemiche, proteste e infinite discussioni (non ultima quella, sempreverde, sul numero di partecipanti), venerdì 20 gennaio 2017 Donald John Trump è diventato il 45° presidente degli Stati Uniti d’America.
Uno dei momenti più importanti della cerimonia è stato, come sempre, l’inaugural speech, il primo discorso del Presidente. Pur non essendo solitamente un momento in cui annunciare proposte rivoluzionarie, il primo discorso del Commander in Chief è sempre utile a capire la sua visione, la strada che ha in testa per il suo mandato, il frame in cui si inserisce. È proprio durante l’Inaugural Speech – ad esempio – che JFK pronunciò la sua frase più iconica, «non chiedete cosa il vostro paese può fare per voi, chiedete cosa potete fare voi per il vostro paese», e lo stesso discorso fu scelto da Ronald Reagan per sintetizzare la sua visione politica nella celebre frase «Il governo non è la soluzione del nostro problema, il governo è il problema».
Il discorso di Donald Trump si caratterizza in primo luogo per la sua brevità e semplicità: 1.140 parole in 16 minuti, il più breve dai tempi di Jimmy Carter. Ma non è solo la lunghezza a colpire: Julie Sedivy – scienziato cognitivo e docente di psicologia – scrive su POLITICO che, applicando il test di Flesh (che misura la leggibilità di un testo in inglese) al discorso di Trump, risulta di semplice comprensione per un ragazzo di terza media. La semplicità retorica – spiega la studiosa – corrisponde spesso a una semplicità sostanziale: i discorsi eccessivamente semplici dal punto di vista linguistico tendono a non considerare i diversi punti di vista, a semplificare la realtà facendo sembrare superfluo il confronto. Sedivy cita anche una ricerca del politologo Christopher Olds che mostra come – nei presidenti dal 1993 al 2015 – un linguaggio più semplice sì accompagna ad una leadership basata sulla semplificazione dei problemi pubblici e sull’anti-intellettualismo, e ad uno stile di governo molto accentrato, con largo uso di ordini esecutivi. La prima settimana dell’amministrazione Trump sembra in qualche modo confermare questa tendenza.
La narrazione del Presidente Trump durante il suo Inaugural Address può essere distinta in tre elementi: il racconto della condizione dell’America fino a quel momento, il momento di svolta che corrisponde alla sua elezione, il futuro splendente che attende l’America di Trump.
“AMERICAN CARNAGE” – Ieri
Mothers and children trapped in poverty in our inner cities, rusted out factories, scattered like tombstones across the landscape of our nation, an education system flush with cash, but which leaves our young and beautiful students deprived of all knowledge, and the crime, and the gangs, and the drugs that have stolen too many lives and robbed our country of so much unrealized potential. This American carnage stops right here and stops right now.
Madri e bambini intrappolati nella povertà delle nostre città, fabbriche arrugginite sparse come pietre tombali sul paesaggio della nostra nazione; un sistema educativo ben sovvenzionato ma che lascia i nostri giovani e bei studenti privati della conoscenza; e il crimine, le gangs e le droghe che hanno rubato troppe vite e derubato il nostro Paese di così tanto potenziale irrealizzato. Questa carneficina americana termina proprio qui e proprio ora.
Gran parte della stampa e dei media in generale ha definito il discorso di Trump “dark”, scuro, cupo. Benjamin Wallace-Wells, sul New Yorker, parla delle tinte fosche con cui Trump disegna l’America, alle quali si aggiunge – scrive Wallace-Wells – una forte compressione della Storia. «Non c’è nessun accenno al “sacrificio dei nostri antenati” di cui parlò Obama nel suo primo discorso inaugurale, o ai Valori dell’America, o al suo Spirito. […] La storia della Nazione è stata semplicemente la storia di un declino». L’enfasi sul tema della sicurezza ricorda molto da vicino il discorso di Donald Trump alla convention repubblicana; come in campagna elettorale, Trump cerca di imporre il frame (non sempre coerente con i dati reali) di un’America distrutta, che invece che rialzarsi spreca il suo tempo ad accogliere clandestini e ad aiutare i paesi stranieri. «Ma questo» – dice Trump – «è il passato, e ora noi guardiamo solamente al futuro.»
“TRANSFERRING POWER FROM WASHINGTON AND GIVING IT BACK TO THE PEOPLE” – Oggi
The establishment protected itself, but not the citizens of our country. Their victories have not been your victories. Their triumphs have not been your triumphs, and while they celebrated in our nation’s capital, there was little to celebrate for struggling families all across our land. […] What truly matters is not which party controls our government, but whether our government is controlled by the people. January 20th, 2017 will be remembered as the day the people became the rulers of this nation again.
L’establishment ha protetto sé stesso, ma non I cittadini. Le loro vittorie non sono state le vostre vittorie, i loro trionfi non sono stati i vostri; e mentre loro celebravano nella Capitale, c’era poco da festeggiare per le famiglie che lottavano in tutto il Paese. […] Quello che conta davvero non è il partito che controlla il governo, ma che il governo sia controllato dalla gente. Oggi sarà ricordata come la data in cui la gente torna ad essere al governo della Nazione.
La lotta all’establishment è il tema con cui il presidente Trump sceglie di iniziare il suo discorso, probabilmente perché, come nota Julie Hirschfeld Davis sul New York Times, «è il tema che gli ha fatto vincere le elezioni: un netto contrasto tra lui e l’establishment politico, un frame noi-contro-loro che contrappone gli americani ordinari contro le élite». Trump individua proprio nelle élite (soprattutto in quella politica) i responsabili della tragica situazione degli Stati Uniti: la soluzione è cacciarlo, facendo tornare il potere in mano ai cittadini. Questo generico appello al popolo – come entità indistinta – è costato al Presidente numerose accuse di populismo: Jon Favreau, ex speech writer di Obama lo ha definito «Un populista che sarà giudicato da come riuscirà a mantenere le sue promesse populiste» . Su questi temi la retorica di Trump cambia nettamente rispetto alla campagna elettorale. David A. Graham, su “The Atlantic”, nota che, rispetto alla convention Repubblicana di luglio (nella quale pronunciò la frase “I alone can fix it”), l’approccio di Trump è molto meno personalizzato: non è il suo momento, ma il momento dei cittadini. Su POLITICO, però, Julie Sedivy osserva che, nonostante abbia usato 20 volte il pronome “voi” e solo 3 volte “io”, il discorso di Trump rivela una leadership fortemente accentrata su di sé.
“AMERICA FIRST” – Domani
A new vision will govern our land, from this day forward, it’s going to be only America first. Every decision on trade, on taxes, on immigration, on foreign affairs will be made to benefit American workers and American families. We must protect our borders from the ravages of other countries making our products, stealing our companies and destroying our jobs. Protection will lead to great prosperity and strength. I will fight for you with every breath in my body, and I will never, ever let you down.
Una nuova visione guiderà il nostro Paese, da questo giorno in poi verrà soltanto prima l’America. Ogni decisione sul commercio, sulle tasse, sull’immigrazione, sarà fatta a beneficio dei lavoratori e delle famiglie americane. Dobbiamo proteggere le nostre frontiere dalle devastazioni degli altri Paesi che producono i nostri prodotti, rubano le nostre aziende e distruggono i nostri posti di lavoro. Proteggerci porterà grande forza e prosperità. Lotterò con voi con tutto il fiato che ho e non vi deluderò mai.
Lasciando da parte le polemiche sullo slogan “America First” (nome del comitato antisemita, anti-interventista durante la Seconda Guerra Mondiale), da una word cloud del discorso salta subito all’occhio che la parola America è la più usata in assoluto. La ricetta del Presidente Trump per risolvere la carneficina americana è nel mettere l’America al primo posto. Alcuni linguisti della University of Pennsylvania hanno osservato che, confrontando il discorso di Donald Trump con gli Inaugural Speech dei suoi predecessori degli ultimi 50 anni, emerge che il nuovo Presidente è quello che usa più volte la parola America e meno volte le parole legate al concetto di libertà. Trump sceglie più volte di evocare lo spirito patriottico degli americani: Frank Lunz vede nel richiamo all’unità nazione tramite il patriottismo la miglior frase del discorso (“Bianchi, neri o marroni… Abbiamo lo stesso sangue rosso da patrioti”). Leadership forte e concreta, protezionismo, frontiere e patriottismo sono le parole chiave per rendere l’America great again, e la prima settimana di Trump, dalla scelta di investire nel muro al confine con il Messico al braccio di ferro con Agenzia per la protezione dell’ambiente, sembra confermare questa direzione.
L’approccio di Trump è certamente divisivo, ma pare aver convinto: stando a un sondaggio condotto da POLITICO, l’Inaugural Speech è stato giudicato buono o eccellente dal 49% degli spettatori; il messaggio “America First” ha suscitato reazioni positive nel 65% degli intervistati.
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