(articolo a cura di Martina Carone)
Di elezioni UK parleremo mercoledì 14 giugno a Londra, a King’s College: scopri di piùC’è un video che sta facendo discutere il Regno Unito.
Un video visto da quasi 7 milioni di persone, e a cui gli utenti hanno risposto con oltre 30 mila reaction e più di 25 mila commenti. Un video che mostra uno spezzone di intervista di Jeremy Corbyn a Sky. Il video, montato ad arte dai Conservatives, mostra il leader laburista dire che “si rifiuta di condannare gli attacchi dell’IRA”.
Anche nello scenario che serra il Regno Unito da quando la premier Theresa May ha annunciato le elezioni anticipate, questi numeri fanno pensare: sono infatti tre volte superiori alle visualizzazioni e ai commenti di qualsiasi altro video elettorale. Il video, infatti è stato sponsorizzato. E visto, così, da un numero di persone paragonabile a quello che si sarebbe avuto se il video fosse stato mandato sulle televisioni inglesi.
E i numeri diventano ancor più rilevanti perché questo video è stato pubblicato sulla pagina Facebook dei Conservatives, il 26 maggio (solo tre giorni dopo l’attacco alla Manchester Arena), periodo in cui la May aveva annunciato una sospensione della campagna elettorale.
La vicenda ha, ovviamente, sollevato proteste da parte dei laburisti. Questi infatti bollano il video come una fake news, denunciando un uso improprio di una singola frase, estrapolata dal contesto e quindi resa volutamente ambigua.
Ma, oltre a ciò, la grande mole di visualizzazioni ci costringe a fare una riflessione sul rapporto tra social media e campagne elettorali. Un rapporto che è già difficile da capire, figuriamoci da regolamentare.
La pubblicità politica in TV è infatti una pratica strettamente regolamentata nel Regno Unito. “Sponsorizzare video per mostrarli mentre le persone sono online, invece, è assolutamente legale”, dice Ron Blackie, digital strategist di Blue State Digital e Ogilvy.
È Facebook stesso, infatti, a permettere ai propri utenti di investire soldi sui contenuti di stampo politico anche durante periodi di silenzio elettorale. E i partiti, che sanno bene che la maggior parte delle persone sceglie chi votare soprattutto negli ultimi giorni prima delle elezioni, non si fanno di certo pregare.
La Electoral Commission è un’istituzione nata proprio per regolare le elezioni. Secondo le stime, solo nelle elezioni politiche del 2015, più del 99% delle risorse spese sui social media sono state investite su Facebook.
Primi negli investimenti in Facebook ads risultano essere i Conservatives (con una spesa di ben 1,21 milioni di sterline), seguiti dal Labour Party (160mila sterline) e dallo UKIP (91mila). A grande distanza, si posizionano invece i Liberal Democrats (22mila), il Green Party (20mila) e lo Scottish National Party (5mila).
Investimenti massicci, per una condotta che non si ritrova solo su Facebook: le pubblicità dei Conservatives sono infatti apparse anche su Snapchat, piattaforma in cui il partito inglese è arrivato per primo per lanciare e sponsorizzare contenuti. Così come, anche, su Instagram.
Due anni fa, Craig Elder e Tom Edmonds, digital strategist per i Tories, avevano dichiarato di aver ignorato il social di foto più amato dai giovani perché “non avrebbe permesso loro di raggiungere l’audience che desideravano”. Oggi, invece, la situazione è diversa: i britannici su Instagram sono oltre 10 milioni, e questo social è stato raggiunto anche dai partiti in cerca di sostenitori.
Carl Miller, research director al think-tank Demos, dice che le pubblicità online hanno due effetti principali sulla comunicazione politica: “Il primo è una enorme frammentazione del messaggio, per cui le persone vedono pubblicità su misura in base a dove si trovano, ai propri dati e comportamenti personali. Il secondo, invece, è più politico. La pubblicità, infatti, tenderà ad essere più aggressiva e basata sull’avversario: si assiste, cioè, a maggior negative campaigning.”
Una riflessione sostenuta dai fatti: 9 contenuti sponsorizzati dei Conservatives su 10 sono, infatti, contro Corbyn.
Diverse piattaforme, diversi messaggi. Gli utenti, raggiunti su network in cui non si aspettano di veder contenuti politici, vanno ulteriormente motivati, e in modo ancora più forte.
Ecco allora uno slittamento dei contenuti su temi non riferiti ai programmi, non a questioni politiche, ma che mirano alla sola e pura mobilitazione. Il famoso Get out the vote, appunto. “Esci, e va’ a votare (per me).”
Tra i temi più sponsorizzati dai Labour, ad esempio, ci sono il servizio sanitario nazionale e le tasse universitarie. I Conservatives calcano la mano su Brexit, sull’economia e sulla sicurezza. I Lib-Dem tendono anch’essi a sponsorizzare contenuti relativi alla Brexit (con toni ovviamente di segno opposto), ma anche per cercare volontari e donazioni.
Ma la verità è che il tema non è solo politico. Con la pubblicità online, infatti, “hai gli stessi vantaggi di uno spot tv e il coinvolgimento emozionale di un video. Ma puoi targetizzare il messaggio sulla base delle abitudini, delle caratteristiche e del tipo di elettore”, aggiunge Blackie.
Una targetizzazione che, ad oggi, sembra più approfondita che mai. E che Sam Jeffers, ex direttore di Blue State Digital e nostro ospite a #EDOFF17, cerca di analizzare con il suo WhoTargetsMe, un tool per individuare quali sono i criteri con cui veniamo raggiunti dalle sponsorizzazioni su Facebook: “Per il bene della nostra democrazia, è il momento di accendere qualche luce sulle zone d’ombra che coprono le spese di ogni campagna elettorale”, dice al Guardian.
“La pubblicità di Facebook, ad esempio, è indirizzata fortemente sugli utenti “su misura” per il messaggio dei partiti e testata più e più volte per raggiungere la massima efficacia. Questo processo rimane, però, invisibile agli occhi degli utenti.”
Un processo che coinvolge gli utenti nel loro comportamento online, il posto in cui si trovano, i siti che visitano, i video che guardano su YouTube, le pagine che seguono, gli amici con cui sono più in contatto. Una grande mole di informazioni e big data. A fronte di pochi, pochissimi limiti.
Di elezioni UK parleremo mercoledì 14 giugno a Londra, a King’s College: scopri di più
Comments are closed.